Il santuario di San Romedio diventa la prigione di Bruno – da Repubblica sera

 Ancora una volta il santuario di San Romedio costringe un orso nella solitudine della sua buia e umida fossa. Mentre l’unica preoccupazione dei religiosi era non prendere posizione, i sindaci trentini hanno aspettato che scemassero contestazioni e attenzione mediatica dell’estate scorsa, prima di consegnare alla buca in Val di Non il nuovo, annunciato prigioniero. Lo chiamano Bruno, l’orso trasferito qualche giorno fa nel lugubre, isolato recinto che sprofonda sotto il monastero. Proviene dal Parco Nazionale d’Abruzzo, dov’era rinchiuso da molti anni – non si capisce perché – in una gabbia ancora più angusta; sequestrato dal Corpo Forestale, ancora cucciolo, a un trafficante di animali.
  Se ne lava le mani pure la Diocesi di Trento, titolare del santuario, sostenendo che non esista necessità dell’animale per attrarre turisti, ma continuando a concedere l’area alla Comunità di Valle. La presenza dell’animale si giustifica con un episodio leggendario della vita di Romedio di Thaur, eremita vissuto nel IV secolo. Questi ammansito un orso feroce finendo per cavalcarlo. Ma fu solo nel 1958 che Gian Giacomo Gallarati Scotti, senatore del Regno d’Italia e ambientalista, riscattò da un circo il povero Charlie, il quale intrattenne fino alla morte i visitatori di San Romedio rimanendo in una gabbia microscopica, ampliata un po’ solo in seguito, quando gli successero altri plantigradi.
  La buca fu pure il contestatissimo carcere di Jurka, importata dalla Slovenia nel 2000 in virtù del fallimentare progetto Life Ursus nel Parco Adamello Brenta, quindi ri-catturata e sterilizzata nel 2006 dopo che le erano stati uccisi tutti i figli. Per lei si mobilitarono gli animalisti, in particolar modo il Movimento No alla Caccia, ottenendone finalmente, nel 2010, il trasloco in una piccola oasi tedesca.
  Ma oggi, grazie alla compiacenza dei religiosi e all’arretratezza delle amministrazioni locali, la fossa rientra in attività. In risposta alle proteste le autorità del luogo ricordano che Bruno viene da un recinto più piccolo, 400 metri contro 1.500: ma pure nell’impossibilità di reimmettere un plantigrade in natura, egli ha bisogno di diversi ettari per muoversi, che includano alberi, corsi d’acqua e non da ultimo compagnia. Il ridicolo principio invocato dalle istituzioni è la tradizione, che si sposerebbe all’intrattenimento dei bambini. Condotti, questi ultimi, a rallegrarsi dinnanzi a una creatura infelice.
  Purtroppo in Italia esistono molti altri orsi in prigionia, nell’attesa che prenda piede una diversa concezione di santuario: così si definiscono infatti, in tutto il mondo, quelle oasi che accolgono con spazi e accorgimenti competenti quelle specie selvatiche inabilitate per sempre dall’uomo alla vita libera.

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Una risposta a Il santuario di San Romedio diventa la prigione di Bruno – da Repubblica sera

  1. Caterina Rosa Marino scrive:

    Vi prego di diffondere:

    Messaggio da inoltrare ai tuoi amici:

    Ciao!

    Ho appena firmato la petizione “UNA TANA PER BRUNO, l’orso dei Carpazi deportato in Trentino” su Change.org.

    È importante. Puoi firmarla anche tu? Qui c’è il link:

    http://www.change.org/it/petizioni/una-tana-per-bruno-l-orso-dei-carpazi-deportato-in-trentino

    Grazie!

    Caterina Rosa

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